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Quattro giorni - Lord Aurelio La Torre
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Quattro giorni - Lord Aurelio La Torre
Primo giorno della settimana
Come sempre, Aurelio si svegliò presto la mattina.
Incartamenti da controllare, e una missiva che stava rivedendo sul proprio tavolo. Piena di cancellature e riscritture.
Colazione da solo, portata da una delle servitrici della fortezza il cui sguardo indugiò un minimo sulle carte prima che venissero messe via dal mercante.
“All’attenzione di Messer Roderigo, di Lady Druilia Yer e dello Schiavista”, fu tutto ciò che riuscì a sbirciare. E di cui chiacchierò con le amiche.
In prima mattinata, venne visto uscire dai quartieri della chiesa assieme a Lord Zaccaria e da Sir Erad.
“Ma ne siete certo, Aurelio? Mi sembra pericoloso, e pure inutile a dire il vero…” disse l’Indice.
Aurelio scosse la testa, sconsolato “Lo so Zaccaria. Ma non ho tempo di imparare. Posso solo cercare di abituarmi e togliermi i timori”
“In tal caso” disse il cavaliere “vi servirà un bastone più grande. E un arciere, come Isibeal. Facciamo domattina allora.”
Nelle officine, poco prima di pranzo, stava guardando dei bastoni più alti di lui dal nano Fa, con aria poco convinta
“Che ne dite di questo, Fa?”
Il nano lo osservò, prendendo il bastone bianco e stranamente lavorato “Contavo di venderlo a qualche maghetto inesperto che voleva far scena. So che è bello, ma non è granché per il combattimento. Potrei darvi di meglio.”
Aurelio sorrise, con un’espressione triste “Sarebbe sprecato nelle mie mani. Andrà benissimo. Mi basta sia grande per parare meglio. E se fa scena, tanto di guadagnato.”
Lo prese in mano, soppesandolo “In fondo, il miglior attacco è la difesa”
Il pomeriggio lo passò al suo tavolo nella zona delle officine, controllando incartamenti e scrivendo missive. A parte i suoi colleghi per motivi di lavoro, vennero a trovarlo alcuni marinai e un’elfa a cui stava insegnando a scrivere. Li si sentiva parlare delle loro religioni, mentre a turno provavano a riportare su tavolette cerate i nomi delle varie divinità.
Cenò da solo, come faceva spesso. All’aperto questa volta, mentre rileggeva il proprio poema a voce bassa.
“Un La Torre scrisse questo, cittadino del Ducato…”
Ad ascoltarlo, alcuni bambini, che lo interrompevano chiedendogli chi fossero quelle persone.
E lui glielo raccontava.
Secondo giorno della settimana
Le servitrici stavolta chiacchieravano di aver trovato resti di lettera bruciati, e di aver visto il nobile La Torre mettere nella sua cassetta delle nuove missive.
Aveva chiesto più volte se fossero giunti dei messaggeri. Magari dal Ducato.
E poi in vari, perplessi, lo videro nei campi di allenamento.
Era vestito come sempre, ma al posto del suo bastone da passeggio aveva un eccentrico bastone a due mani, decorato come quello dei maghi “L’unico che ho trovato” disse, quasi a giustificarsi.
Ser Erad, senza armatura, aveva una spada in mano più corta di quelle mostruose che usava di solito.
Vicino a lui Isibeal, con arco e frecce, e un’espressione dubbiosa “Ma siete certo? Mi sento a disagio a usarvi come bersaglio, Lord La Torre…”
Lord Zaccaria, dietro di loro e con un breviario in mano, non smise di leggerlo mentre parlava “Non lo convincerete. E in parte ha ragione. Tutto ciò che può fare ora è abituarsi ad essere attaccato da arco e spada, e sperare di resistere abbastanza”
“Comunque ci andrò leggero, Lord La Torre, non preoccupatevi” disse Erad, preparandosi ad attaccare mentre Isibeal incoccava la freccia.
“Se lo fate” rispose Aurelio “sarò morto nel duello. Attaccate per uccidere. C’è Lord Zaccaria per curarmi. Altrimenti come posso abituarmi al timore?”
La sera era di nuovo a cenare all’aperto, assieme a bambini e bambine (e qualche madre incuriosita) mentre si allenava a leggere ad alta voce il suo poema.
“Siate forte e ricordate, la famiglia innanzi a tutto. E il Ducato so per voi, esser famiglia soprattutto”
E continuava a parlare loro delle persone che in esso comparivano.
Terzo giorno della settimana.
Sui campi di allenamento in vari stavano guardando quello che, a detta di molti, era uno spettacolo patetico ma interessante.
Lord Aurelio a volte veniva colpito dalla spada di Sir Erad, e finiva a terra per venire prontamente curato da Lord Zaccaria.
Altre volte era una freccia della ragazza ad atterrarlo inaspettatamente.
Con Lord Zaccaria di nuovo a curarlo.
Le ferite guarivano, ma ogni volta faceva male. Molto più male di quello a cui un mercante fosse abituato.
Si rialzava. Riprovando sempre a stare in difesa, cercando un singolo varco nel cavaliere per colpirlo, almeno una volta.
In molti si chiedevano perché il nobile mercante, conosciuto per essere tutto tranne un guerriero, continuasse.
I membri di occhio e spada li presenti non commentavano. Alcuni di loro un anno prima lo avevano visto fare il possibile con il suo corto bastone da passeggio. Non aveva le abilità. Ma sapevano che non si tirava indietro quando doveva.
Neanche un paio di tribali lì presenti lo deridevano. E la voce su discorsi fatti in una taverna un paio di giorni prima, quando alcuni nobili si erano riuniti a parlare, si stavano diffondendo.
Si parlava di duello d’onore. Tra il La Torre, e qualcun’altro.
Il pomeriggio, dopo aver svolto i propri impegni di lavoro, andò a trovare Lord Zaccaria.
“A confessarmi”, disse a chi gli chiese dove andava, “almeno finché sono ancora in tempo”.
Rimasero chiusi assieme almeno due ore.
Quella sera, mentre si allenava a leggere parti del suo poema anche alcune madri iniziarono a chiedergli delle storie e delle persone di cui parlava.
Lui si interrompeva, senza nervosismo.
E parlava dei morti e dei vivi. Dei caduti, degli eroi. Di coloro che avrebbe voluto poter chiamare amici.
Ormai la voce che il giorno dopo si sarebbe esibito con il poema completo in una taverna si stava diffondendo. I figli del proprietario erano stati visti costruire un piccolo palco di legno di assi lucide, e quando qualcuno gli chiedeva per chi fosse dicevano “Lord Aurelio La Torre, il poeta”.
Quarto giorno della settimana
Era riuscito a colpire Erad!
Un colpo goffo, che diede solo fastidio al cavaliere, e solo per essere abbattuto subito dopo da una freccia.
Ma ci era riuscito!
Ormai chi stava a guardare o che passava di lì faceva il tifo per il La Torre.
Che si rialzò dolorante, barcollante, ma con un sorriso.
“Devo avere pazienza, Erad” disse, riprendendo il bastone.
“Avere pazienza. Stare in difesa. Aspettare quel che serve per colpire. Il miglior attacco è la difesa”
L’arciera lo guardò perplessa “Ma questa frase che ripetete, Lord La Torre, che cos’è?”
“Il motto della sua famiglia” rispose Lord Cassandra, aiutando l’amico a rialzarsi.
La sera, la taverna era piena.
Gente di tutte le organizzazioni.
Un gruppo ben compatto del Patto d’Acciaio.
Qualche nobile, tra cui Lord Zaccaria con Ser Erad a fargli da guardia.
Abitanti di porta del Nord, giunti lì da meno di un anno.
La confusione era tanta mentre tutti mangiavano e bevevano. Erano stati aggiunti vari tavoli, anche all’esterno.
“Lord Poeta, siamo pronti. Quando volete li faccio zittire”
Il fratello dell’Oste era contento. Quel giorno sua moglie era stata visitata dal Dottor Laudanium, ed ora la taverna era piena. Dopotutto, era lui che aveva organizzato la serata per Aurelio.
“No, non serve” rispose il nobile “Se non fossi in grado di farmi ascoltare da solo, allora non saprei fare il mio lavoro”
Salì sul palco. In vari vennero zittiti, soprattutto dai membri del Patto, e da quelli presenti che avevano già sentito il poema qualche settimana prima.
Le assi di legno erano state lisciate bene, e diede a un ragazzino la brocca di vino che aveva con sé dopo averne bevuto un ultimo sorso.
Forse per farsi coraggio, forse per schiarirsi la gola.
E cominciò a narrare il poema. I Cinque Rintocchi di Campana.
Fino alla fine.
“Tutti quanti lotteremo ed uniti riusciremo. Ed alle genti del Ducato, un futuro offriremo.”
Il silenzio della taverna era completo.
Per qualche secondo, si potevano sentire solo le cicale all’esterno, e il pianto sommesso di alcuni tra il pubblico.
Poi, fu un bambino, lo stesso che aveva preso la coppa, a chiedere “Ma ora come sta la famiglia di Hestia?”
E il vociare riprese. Sia tra avventori che parlavano del poema o di altro, o ora ordinavano da bere per sé e per Aurelio.
Sia con tutti quelli che andavano dal La Torre a chiedergli di Adrian Lux Victori, di Bjorne Hierko, di Cain Marshall, Faramir, Hestia, Ago, Piff, Laudanium (“Dottor Laudanium”, corresse il medico li presente), del Duca e di tutto il gruppo d’intervento.
Del passato con i Tribali, del presente e del futuro del Ducato.
E Aurelio rispose a tutti.
A tarda notte, mentre facevano le pulizie, in uno dei tavoli esterni c’era ancora Aurelio, con Fae, Lord Zaccaria Cassandra e Lady Altea Yer. Con discrezione, Sir Erad li osservava vigile a poca distanza.
Poco prima Lady Mairi Warfer era passata accompagnata dalla zia Volva. Senza fermarsi a salutare, ma facendo un cenno ricambiato da Aurelio. Senza alcuna parola, ma con un sorriso del La Torre.
“Ne siete convinto, Aurelio? State rischiando la vostra vita, sia con questo che con le altre cose. Non è troppo?” chiese Zaccaria, versandosi da bere.
Aurelio lo guardò, sorridendo “Per il Ducato? Non è mai troppo” posò la coppa, che venne riempita da Fae “E anche per una brava ragazza che sta imparando e a cui ho promesso il mio supporto e rispetto. Merita che io provi a fare la cosa giusta. E, se sarò fortunato, anche per me”
Lady Altea alzò la coppa verso il cielo “Per il Ducato, allora. Come dite voi a volte, Aurelio, che tutti gli dei che vegliano sul Ducato ci siano favorevoli”
Come sempre, Aurelio si svegliò presto la mattina.
Incartamenti da controllare, e una missiva che stava rivedendo sul proprio tavolo. Piena di cancellature e riscritture.
Colazione da solo, portata da una delle servitrici della fortezza il cui sguardo indugiò un minimo sulle carte prima che venissero messe via dal mercante.
“All’attenzione di Messer Roderigo, di Lady Druilia Yer e dello Schiavista”, fu tutto ciò che riuscì a sbirciare. E di cui chiacchierò con le amiche.
In prima mattinata, venne visto uscire dai quartieri della chiesa assieme a Lord Zaccaria e da Sir Erad.
“Ma ne siete certo, Aurelio? Mi sembra pericoloso, e pure inutile a dire il vero…” disse l’Indice.
Aurelio scosse la testa, sconsolato “Lo so Zaccaria. Ma non ho tempo di imparare. Posso solo cercare di abituarmi e togliermi i timori”
“In tal caso” disse il cavaliere “vi servirà un bastone più grande. E un arciere, come Isibeal. Facciamo domattina allora.”
Nelle officine, poco prima di pranzo, stava guardando dei bastoni più alti di lui dal nano Fa, con aria poco convinta
“Che ne dite di questo, Fa?”
Il nano lo osservò, prendendo il bastone bianco e stranamente lavorato “Contavo di venderlo a qualche maghetto inesperto che voleva far scena. So che è bello, ma non è granché per il combattimento. Potrei darvi di meglio.”
Aurelio sorrise, con un’espressione triste “Sarebbe sprecato nelle mie mani. Andrà benissimo. Mi basta sia grande per parare meglio. E se fa scena, tanto di guadagnato.”
Lo prese in mano, soppesandolo “In fondo, il miglior attacco è la difesa”
Il pomeriggio lo passò al suo tavolo nella zona delle officine, controllando incartamenti e scrivendo missive. A parte i suoi colleghi per motivi di lavoro, vennero a trovarlo alcuni marinai e un’elfa a cui stava insegnando a scrivere. Li si sentiva parlare delle loro religioni, mentre a turno provavano a riportare su tavolette cerate i nomi delle varie divinità.
Cenò da solo, come faceva spesso. All’aperto questa volta, mentre rileggeva il proprio poema a voce bassa.
“Un La Torre scrisse questo, cittadino del Ducato…”
Ad ascoltarlo, alcuni bambini, che lo interrompevano chiedendogli chi fossero quelle persone.
E lui glielo raccontava.
Secondo giorno della settimana
Le servitrici stavolta chiacchieravano di aver trovato resti di lettera bruciati, e di aver visto il nobile La Torre mettere nella sua cassetta delle nuove missive.
Aveva chiesto più volte se fossero giunti dei messaggeri. Magari dal Ducato.
E poi in vari, perplessi, lo videro nei campi di allenamento.
Era vestito come sempre, ma al posto del suo bastone da passeggio aveva un eccentrico bastone a due mani, decorato come quello dei maghi “L’unico che ho trovato” disse, quasi a giustificarsi.
Ser Erad, senza armatura, aveva una spada in mano più corta di quelle mostruose che usava di solito.
Vicino a lui Isibeal, con arco e frecce, e un’espressione dubbiosa “Ma siete certo? Mi sento a disagio a usarvi come bersaglio, Lord La Torre…”
Lord Zaccaria, dietro di loro e con un breviario in mano, non smise di leggerlo mentre parlava “Non lo convincerete. E in parte ha ragione. Tutto ciò che può fare ora è abituarsi ad essere attaccato da arco e spada, e sperare di resistere abbastanza”
“Comunque ci andrò leggero, Lord La Torre, non preoccupatevi” disse Erad, preparandosi ad attaccare mentre Isibeal incoccava la freccia.
“Se lo fate” rispose Aurelio “sarò morto nel duello. Attaccate per uccidere. C’è Lord Zaccaria per curarmi. Altrimenti come posso abituarmi al timore?”
La sera era di nuovo a cenare all’aperto, assieme a bambini e bambine (e qualche madre incuriosita) mentre si allenava a leggere ad alta voce il suo poema.
“Siate forte e ricordate, la famiglia innanzi a tutto. E il Ducato so per voi, esser famiglia soprattutto”
E continuava a parlare loro delle persone che in esso comparivano.
Terzo giorno della settimana.
Sui campi di allenamento in vari stavano guardando quello che, a detta di molti, era uno spettacolo patetico ma interessante.
Lord Aurelio a volte veniva colpito dalla spada di Sir Erad, e finiva a terra per venire prontamente curato da Lord Zaccaria.
Altre volte era una freccia della ragazza ad atterrarlo inaspettatamente.
Con Lord Zaccaria di nuovo a curarlo.
Le ferite guarivano, ma ogni volta faceva male. Molto più male di quello a cui un mercante fosse abituato.
Si rialzava. Riprovando sempre a stare in difesa, cercando un singolo varco nel cavaliere per colpirlo, almeno una volta.
In molti si chiedevano perché il nobile mercante, conosciuto per essere tutto tranne un guerriero, continuasse.
I membri di occhio e spada li presenti non commentavano. Alcuni di loro un anno prima lo avevano visto fare il possibile con il suo corto bastone da passeggio. Non aveva le abilità. Ma sapevano che non si tirava indietro quando doveva.
Neanche un paio di tribali lì presenti lo deridevano. E la voce su discorsi fatti in una taverna un paio di giorni prima, quando alcuni nobili si erano riuniti a parlare, si stavano diffondendo.
Si parlava di duello d’onore. Tra il La Torre, e qualcun’altro.
Il pomeriggio, dopo aver svolto i propri impegni di lavoro, andò a trovare Lord Zaccaria.
“A confessarmi”, disse a chi gli chiese dove andava, “almeno finché sono ancora in tempo”.
Rimasero chiusi assieme almeno due ore.
Quella sera, mentre si allenava a leggere parti del suo poema anche alcune madri iniziarono a chiedergli delle storie e delle persone di cui parlava.
Lui si interrompeva, senza nervosismo.
E parlava dei morti e dei vivi. Dei caduti, degli eroi. Di coloro che avrebbe voluto poter chiamare amici.
Ormai la voce che il giorno dopo si sarebbe esibito con il poema completo in una taverna si stava diffondendo. I figli del proprietario erano stati visti costruire un piccolo palco di legno di assi lucide, e quando qualcuno gli chiedeva per chi fosse dicevano “Lord Aurelio La Torre, il poeta”.
Quarto giorno della settimana
Era riuscito a colpire Erad!
Un colpo goffo, che diede solo fastidio al cavaliere, e solo per essere abbattuto subito dopo da una freccia.
Ma ci era riuscito!
Ormai chi stava a guardare o che passava di lì faceva il tifo per il La Torre.
Che si rialzò dolorante, barcollante, ma con un sorriso.
“Devo avere pazienza, Erad” disse, riprendendo il bastone.
“Avere pazienza. Stare in difesa. Aspettare quel che serve per colpire. Il miglior attacco è la difesa”
L’arciera lo guardò perplessa “Ma questa frase che ripetete, Lord La Torre, che cos’è?”
“Il motto della sua famiglia” rispose Lord Cassandra, aiutando l’amico a rialzarsi.
La sera, la taverna era piena.
Gente di tutte le organizzazioni.
Un gruppo ben compatto del Patto d’Acciaio.
Qualche nobile, tra cui Lord Zaccaria con Ser Erad a fargli da guardia.
Abitanti di porta del Nord, giunti lì da meno di un anno.
La confusione era tanta mentre tutti mangiavano e bevevano. Erano stati aggiunti vari tavoli, anche all’esterno.
“Lord Poeta, siamo pronti. Quando volete li faccio zittire”
Il fratello dell’Oste era contento. Quel giorno sua moglie era stata visitata dal Dottor Laudanium, ed ora la taverna era piena. Dopotutto, era lui che aveva organizzato la serata per Aurelio.
“No, non serve” rispose il nobile “Se non fossi in grado di farmi ascoltare da solo, allora non saprei fare il mio lavoro”
Salì sul palco. In vari vennero zittiti, soprattutto dai membri del Patto, e da quelli presenti che avevano già sentito il poema qualche settimana prima.
Le assi di legno erano state lisciate bene, e diede a un ragazzino la brocca di vino che aveva con sé dopo averne bevuto un ultimo sorso.
Forse per farsi coraggio, forse per schiarirsi la gola.
E cominciò a narrare il poema. I Cinque Rintocchi di Campana.
Fino alla fine.
“Tutti quanti lotteremo ed uniti riusciremo. Ed alle genti del Ducato, un futuro offriremo.”
Il silenzio della taverna era completo.
Per qualche secondo, si potevano sentire solo le cicale all’esterno, e il pianto sommesso di alcuni tra il pubblico.
Poi, fu un bambino, lo stesso che aveva preso la coppa, a chiedere “Ma ora come sta la famiglia di Hestia?”
E il vociare riprese. Sia tra avventori che parlavano del poema o di altro, o ora ordinavano da bere per sé e per Aurelio.
Sia con tutti quelli che andavano dal La Torre a chiedergli di Adrian Lux Victori, di Bjorne Hierko, di Cain Marshall, Faramir, Hestia, Ago, Piff, Laudanium (“Dottor Laudanium”, corresse il medico li presente), del Duca e di tutto il gruppo d’intervento.
Del passato con i Tribali, del presente e del futuro del Ducato.
E Aurelio rispose a tutti.
A tarda notte, mentre facevano le pulizie, in uno dei tavoli esterni c’era ancora Aurelio, con Fae, Lord Zaccaria Cassandra e Lady Altea Yer. Con discrezione, Sir Erad li osservava vigile a poca distanza.
Poco prima Lady Mairi Warfer era passata accompagnata dalla zia Volva. Senza fermarsi a salutare, ma facendo un cenno ricambiato da Aurelio. Senza alcuna parola, ma con un sorriso del La Torre.
“Ne siete convinto, Aurelio? State rischiando la vostra vita, sia con questo che con le altre cose. Non è troppo?” chiese Zaccaria, versandosi da bere.
Aurelio lo guardò, sorridendo “Per il Ducato? Non è mai troppo” posò la coppa, che venne riempita da Fae “E anche per una brava ragazza che sta imparando e a cui ho promesso il mio supporto e rispetto. Merita che io provi a fare la cosa giusta. E, se sarò fortunato, anche per me”
Lady Altea alzò la coppa verso il cielo “Per il Ducato, allora. Come dite voi a volte, Aurelio, che tutti gli dei che vegliano sul Ducato ci siano favorevoli”
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Data d'iscrizione : 11.02.14
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