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Non è mica sua madre - Mite
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Non è mica sua madre - Mite
Tredicesimo giorno del nono mese dell’anno 1318, Residenza Hierko
Askvoll si trovava nella sala grande, seduta pensierosa nello scranno accanto a quello che fu di sua madre. Nessuno in famiglia aveva avuto il coraggio di occuparlo, neanche di rimuovere le pellicce sporche di sangue nelle quali era stata avvolta durante il suo ritorno dai monti Kogar.
Ad un tratto Nan, la balia di famiglia, uscì da dietro le tende e annunciò alla giovane: “Guarda che Mite è arrivato, è andato nel giardino sul retro a salutare tua madre, ha detto che puoi raggiungerlo lì”.
“Va bene Nan, grazie mille, lo stavo aspettando”
La giovane orchessa si incamminò lungo il cortile e raggiunse l’albero sotto la cui ombra sedeva Mite, accanto a una statua di granito raffigurante un maestoso orso.
Lei fece per salutarlo, ma si bloccò vedendo un ben più piccolo orso verde, non più grande di un cestino del pranzo, venirle incontro. Lei allungò le braccia per provare a fermarlo ma l’orso le passò attraverso; per poi girarsi e correre di nuovo verso di lei, cercando di strusciarsi sulle sue gambe, riuscendo però solo ad oltrepassarle. Deluso, diresse quindi la sua attenzione (e la sua andatura) verso l’elfo, che alzò il braccio, aspettando che la creatura ci sbattesse contro. E così avvenne, sotto gli occhi increduli di Askvoll. L’orso si fece accarezzare e si raggomitolò sulle gambe di Mite, che sorrise guardando l’espressione stupita della giovane orchessa. “Che c’è? - le chiese - non essere sorpresa, non è mica tua madre”.
Istintivamente si girò verso la statua, quasi nella speranza di vedere una mano uscirne e prenderlo a schiaffi, ma non accade nulla. “Scusa, Verdona”, mormorò.
Rivolse di nuovo il suo sguardo verso Askvoll, continuando ad arruffare il pelo a quella creatura.
“Allora - esordì l’elfo - cominciamo con la lezione?”
Qualche decina di minuti dopo, dall’altra parte del giardino (ma sempre all’ombra dell’albero) Askvoll era concentrata mentre ascoltava Mite (che ora aveva un orso sopra la spalla) parlare. “...ed è così che nasce una creatura arcana, quindi.”
“Oohhhh - esclamò Askvoll - quindi stai dicendo che tutto può nascere da un semplice spirito?”
“Noooo! Ti sto dicendo che TUTTO nasce dagli spiriti! La più piccola fiammella, il più piccolo alito di vento, la goccia che fa traboccare il vaso, tutto! Solo che la gente non ci fa mai caso! Vedi, a loro basta dire che sono stati gli Dèi a creare tutto questo, e loro non si porranno più domande... ma pensaci bene: gli Dèi non combatterono in terra? Nel mare? Esistevano già, quindi, non sono stati loro a crearli! Sono stati gli Spiriti!“. Mite si fermò, diede un colpo di tosse, bevve due sorsate d’acqua, e chiese: “hai capito tutto, Askvoll? Hai qualche domanda?”
La ragazzina assunse un’aria imbarazzata. “In realtà sì... posso andare in bagno?”
I due scoppiarono a ridere di gusto, mentre cominciava ad arrivare un’aria fresca, segno che la giornata stava volgendo al termine.
“Sono quasi contento che tu non abbia preso il senso dell’umorismo da Bjorne - commentò continuando a sghignazzare - dai, vai, ma fai in fretta, che poi metteremo in pratica quello che ti ho spiegato, ora non si scherza più” continuò l’elfo. Askvoll strabuzzò gli occhi: “Sul serio?” Gli chiese.
Mite la squadrò, con una faccia serissima. “Ovviamente no, non sono mica tuo nonno” rispose ricominciando a ridere.
Qualche minuto dopo Askvoll tornò, e con lei giunse anche suo fratello.
“Morvik!” esclamò Mite “sei arrivato giusto in tempo per la pratica!”
I tre si spostarono verso casa di Mite, e si sedettero in cerchio, intorno ad uno degli alberi con degli altarini costruiti ai loro piedi.
All’interno degli altarini Mite si assicurava che non mancassero mai incenso, tre fiori di campo raccolti in mattinata e una ciotolina colma d’acqua.
Ora il sole stava tramontando, e questi altarini sembrava fossero illuminati dall’interno, anche se non c’era presenza di cerini o lanterne.
“Vedete” ricominciò Mite, indicando l’altarino “gli spiriti non sono cose, ma sono vivi, sono dotati di volontà propria, anche se non si vedono.” I due orchi scrutarono all’interno della piccola costruzione, ma non videro nulla, solo il riflesso dell’acqua che illuminava il soffitto. “Ora stendetevi ai piedi di quest’albero, forza, e osservatene bene le foglie” disse loro. Mentre i tre appoggiavano le spalle a terra, dall’altarino fuoriuscì l’orsetto verde, che camminando lungo il tronco andò ad acciambellarsi sulla pancia di Mite, che cominciò a passare le sue mani sul pelo della creatura. Dopo qualche minuto, Mite chiese loro: “Ora ditemi, vedete qualcosa muoversi?” Ma i due orchi stettero in silenzio. Dopo qualche minuto Morvik esclamò: “ecco! Lo vedo! Vedo lo spirito!” Alzando la mano, indicando qualcosa a raso terra. Askvoll seguì l’indice del fratello, che puntava sulla pancia di Mite: “ah.ah.ah. Molto spiritoso” Lo schernì lei “e comunque quella è una creatura arcana, che un tempo fu uno spirito a cui offrirono sacrifici e preghiere, e con questi crebbe fino a diventare quello che è adesso” finì Askvoll.
“Qualcuno ha seguito la lezione, oggi” sentenziò l’elfo, con un sorriso.
I minuti passavano, e Askvoll si accorse ben presto che molte foglie sull’albero, qualche pezzo di corteccia, qualche filo d’erba erano illuminato da una strana luce verdognola, troppo flebile per essere una lucciola, ma troppo forte per essere un’immaginazione. Si alzò e scrutò di nuovo all’interno dell’altare: ora si accorse che il suo interno era completamente illuminato da quella stranissima luce verde: non era un riflesso, come invece pensava prima. Emozionata, la giovane orchessa si girò di scatto verso Mite, e si accorse che l’elfo la stava già tenendo d’occhio, ed aveva un indice sulle labbra, per comunicarle di rimanere in silenzio; rivolgeva l’altra mano in direzione di Morvik, come a voler dire “non disturbarlo”.
Rivolse lo sguardo verso suo fratello, e vide che si era girato sul fianco, dandole la schiena. Lei si ridistese accanto a lui, ignorandolo, continuando a concentrarsi sul mondo che la circondava.
“Mite” chiese infine lei “è questa la magia degli spiriti? È questo quello di cui parli sempre?“ “ssshhhh - la interruppe Mite - ascolta bene.”
Askvoll si concentrò, e udì chiaramente un suono simile a un grugnito in lontananza. Sempre più euforica si girò verso Mite. “Mite! Gli spiriti possono anche parlare? È meraviglioso! È la voce dell’orso? Incredibi-“ si bloccò: notò solo ora che non c’era più l’orso sul pancione dell’elfo, che stava ridendo tra sé e sé. L’orchessa si girò di scatto verso suo fratello, sentendolo muoversi, e notò che dalle sue zanne colava un filo di bava. Lei assunse un’espressione di imbarazzo, e in tutta risposta suo fratello cominciò a russare rumorosamente. Ci fu un momento di silenzio, interrotto sia dagli sghignazzi dell’elfo, sia da delle frasi sconnesse da parte del giovane erede Hierko: si agitava nel sonno, pronunciando di tanto frasi come “ammazzatelo...traditor...zzz” oppure “questo cinghiale... zzz... ropio buono... zzz”. Ora Mite stava ridendo fragorosamente; l’orchessa, arrossendo come solo un orco sa fare, diede una pacca sulla spalla a suo fratello, che si svegliò con un sussulto: “MITE” gridò il giovane “HO VISTO I CAMPIONI DI GUREG, HO CAPITO COME FUNZIONA LA MAGIA!“
Mite era piegato in due dal ridere, non riusciva quasi a respirare dalle troppe risate; Askvoll, al contrario, era terribilmente infastidita e imbarazzata dal comportamento del fratello, se avesse potuto nascondersi da qualche parte probabilmente l’avrebbe fatto, in quel momento.
“Va bene.. va bene così” disse Mite, cercando di darsi un contegno “alziamoci, che vi riaccompagno a casa, per oggi la lezione è finita” disse l’elfo, asciugandosi le lacrime.
Il dialogo riprese dopo qualche minuto, nel sentiero verso casa. “Askvoll - disse l’elfo, mettendole una mano tra i capelli e scompigliandole la treccia rossa, la stessa treccia che sua madre era solita portare quando si recava in battaglia- la risposta alle domande che mi hai fatto prima è “sì”. Questa è la magia degli Spiriti, della Natura, la più Sacra forma di comunione che esista tra il nostro mondo e il loro mondo (indicò una pozzanghera illuminata da una luce verdognola). Ora, il fatto che tu sia riuscita a vederla è una cosa importante per me, e sono sicuro che lo sarà anche per Kvartal...” Mite abbassò gli occhi al suolo “…e sono sicuro che lo sarebbe stato anche per tua madre. Anche se, visto come ti chiamava… -Asky-“ disse ridacchiando l’elfo “sono quasi sicuro che volesse che tu guadagnassi il titolo di Cane della tribù” finì la frase con un sorriso nascosto (male) tra le labbra. “Ma penso - continuò Mite, dando una sonora pacca sulla spalla a Morvik - che nessuno più di tuo fratello abbia il diritto di appropriarsi quel titolo. Dopo la dimostrazione di magia di prima posso solo dire che è... proprio tutto sua madre!”
Morvik, nel sentire queste parole, gonfiò orgogliosamente il giovane ma muscoloso petto (fingendo che la pacca sulla spalla non gli avesse fatto nulla). Arrivati infine alla porta della loro dimora, Morvik e Askvoll salutarono l’elfo, ed entrarono scortati dalla premurosa Nan. Mite ricambiò il saluto, si girò ed imboccò il sentiero del ritorno.
“Beh - pensò Mite - gli Spiriti indicano la via, ma questa non deve essere per forza la via degli spiriti. È buffo… ma è giusto così”. Si fermò, accarezzò l’orsetto e gli disse: “meglio che tu vada a riposarti... Io domani ho le mie bambine da tenere a bada: i due baldi giovanotti, domani, saranno solo un problema tuo, bestiaccia che non sei altro!”
L’orso strofinò il musetto sulle mani dell’elfo, che in tutta risposta le grattò la testa e accarezzò il suo manto; dopo qualche istante si girò, e iniziò la sua lenta camminata, che terminò dentro alla statua di granito sotto l’albero di casa Hierko.
“Non è mica sua madre - mormorò Mite, guardando l’orso scomparire dentro alla tomba della sua cara amica - non è mica sua madre”.
Askvoll si trovava nella sala grande, seduta pensierosa nello scranno accanto a quello che fu di sua madre. Nessuno in famiglia aveva avuto il coraggio di occuparlo, neanche di rimuovere le pellicce sporche di sangue nelle quali era stata avvolta durante il suo ritorno dai monti Kogar.
Ad un tratto Nan, la balia di famiglia, uscì da dietro le tende e annunciò alla giovane: “Guarda che Mite è arrivato, è andato nel giardino sul retro a salutare tua madre, ha detto che puoi raggiungerlo lì”.
“Va bene Nan, grazie mille, lo stavo aspettando”
La giovane orchessa si incamminò lungo il cortile e raggiunse l’albero sotto la cui ombra sedeva Mite, accanto a una statua di granito raffigurante un maestoso orso.
Lei fece per salutarlo, ma si bloccò vedendo un ben più piccolo orso verde, non più grande di un cestino del pranzo, venirle incontro. Lei allungò le braccia per provare a fermarlo ma l’orso le passò attraverso; per poi girarsi e correre di nuovo verso di lei, cercando di strusciarsi sulle sue gambe, riuscendo però solo ad oltrepassarle. Deluso, diresse quindi la sua attenzione (e la sua andatura) verso l’elfo, che alzò il braccio, aspettando che la creatura ci sbattesse contro. E così avvenne, sotto gli occhi increduli di Askvoll. L’orso si fece accarezzare e si raggomitolò sulle gambe di Mite, che sorrise guardando l’espressione stupita della giovane orchessa. “Che c’è? - le chiese - non essere sorpresa, non è mica tua madre”.
Istintivamente si girò verso la statua, quasi nella speranza di vedere una mano uscirne e prenderlo a schiaffi, ma non accade nulla. “Scusa, Verdona”, mormorò.
Rivolse di nuovo il suo sguardo verso Askvoll, continuando ad arruffare il pelo a quella creatura.
“Allora - esordì l’elfo - cominciamo con la lezione?”
Qualche decina di minuti dopo, dall’altra parte del giardino (ma sempre all’ombra dell’albero) Askvoll era concentrata mentre ascoltava Mite (che ora aveva un orso sopra la spalla) parlare. “...ed è così che nasce una creatura arcana, quindi.”
“Oohhhh - esclamò Askvoll - quindi stai dicendo che tutto può nascere da un semplice spirito?”
“Noooo! Ti sto dicendo che TUTTO nasce dagli spiriti! La più piccola fiammella, il più piccolo alito di vento, la goccia che fa traboccare il vaso, tutto! Solo che la gente non ci fa mai caso! Vedi, a loro basta dire che sono stati gli Dèi a creare tutto questo, e loro non si porranno più domande... ma pensaci bene: gli Dèi non combatterono in terra? Nel mare? Esistevano già, quindi, non sono stati loro a crearli! Sono stati gli Spiriti!“. Mite si fermò, diede un colpo di tosse, bevve due sorsate d’acqua, e chiese: “hai capito tutto, Askvoll? Hai qualche domanda?”
La ragazzina assunse un’aria imbarazzata. “In realtà sì... posso andare in bagno?”
I due scoppiarono a ridere di gusto, mentre cominciava ad arrivare un’aria fresca, segno che la giornata stava volgendo al termine.
“Sono quasi contento che tu non abbia preso il senso dell’umorismo da Bjorne - commentò continuando a sghignazzare - dai, vai, ma fai in fretta, che poi metteremo in pratica quello che ti ho spiegato, ora non si scherza più” continuò l’elfo. Askvoll strabuzzò gli occhi: “Sul serio?” Gli chiese.
Mite la squadrò, con una faccia serissima. “Ovviamente no, non sono mica tuo nonno” rispose ricominciando a ridere.
Qualche minuto dopo Askvoll tornò, e con lei giunse anche suo fratello.
“Morvik!” esclamò Mite “sei arrivato giusto in tempo per la pratica!”
I tre si spostarono verso casa di Mite, e si sedettero in cerchio, intorno ad uno degli alberi con degli altarini costruiti ai loro piedi.
All’interno degli altarini Mite si assicurava che non mancassero mai incenso, tre fiori di campo raccolti in mattinata e una ciotolina colma d’acqua.
Ora il sole stava tramontando, e questi altarini sembrava fossero illuminati dall’interno, anche se non c’era presenza di cerini o lanterne.
“Vedete” ricominciò Mite, indicando l’altarino “gli spiriti non sono cose, ma sono vivi, sono dotati di volontà propria, anche se non si vedono.” I due orchi scrutarono all’interno della piccola costruzione, ma non videro nulla, solo il riflesso dell’acqua che illuminava il soffitto. “Ora stendetevi ai piedi di quest’albero, forza, e osservatene bene le foglie” disse loro. Mentre i tre appoggiavano le spalle a terra, dall’altarino fuoriuscì l’orsetto verde, che camminando lungo il tronco andò ad acciambellarsi sulla pancia di Mite, che cominciò a passare le sue mani sul pelo della creatura. Dopo qualche minuto, Mite chiese loro: “Ora ditemi, vedete qualcosa muoversi?” Ma i due orchi stettero in silenzio. Dopo qualche minuto Morvik esclamò: “ecco! Lo vedo! Vedo lo spirito!” Alzando la mano, indicando qualcosa a raso terra. Askvoll seguì l’indice del fratello, che puntava sulla pancia di Mite: “ah.ah.ah. Molto spiritoso” Lo schernì lei “e comunque quella è una creatura arcana, che un tempo fu uno spirito a cui offrirono sacrifici e preghiere, e con questi crebbe fino a diventare quello che è adesso” finì Askvoll.
“Qualcuno ha seguito la lezione, oggi” sentenziò l’elfo, con un sorriso.
I minuti passavano, e Askvoll si accorse ben presto che molte foglie sull’albero, qualche pezzo di corteccia, qualche filo d’erba erano illuminato da una strana luce verdognola, troppo flebile per essere una lucciola, ma troppo forte per essere un’immaginazione. Si alzò e scrutò di nuovo all’interno dell’altare: ora si accorse che il suo interno era completamente illuminato da quella stranissima luce verde: non era un riflesso, come invece pensava prima. Emozionata, la giovane orchessa si girò di scatto verso Mite, e si accorse che l’elfo la stava già tenendo d’occhio, ed aveva un indice sulle labbra, per comunicarle di rimanere in silenzio; rivolgeva l’altra mano in direzione di Morvik, come a voler dire “non disturbarlo”.
Rivolse lo sguardo verso suo fratello, e vide che si era girato sul fianco, dandole la schiena. Lei si ridistese accanto a lui, ignorandolo, continuando a concentrarsi sul mondo che la circondava.
“Mite” chiese infine lei “è questa la magia degli spiriti? È questo quello di cui parli sempre?“ “ssshhhh - la interruppe Mite - ascolta bene.”
Askvoll si concentrò, e udì chiaramente un suono simile a un grugnito in lontananza. Sempre più euforica si girò verso Mite. “Mite! Gli spiriti possono anche parlare? È meraviglioso! È la voce dell’orso? Incredibi-“ si bloccò: notò solo ora che non c’era più l’orso sul pancione dell’elfo, che stava ridendo tra sé e sé. L’orchessa si girò di scatto verso suo fratello, sentendolo muoversi, e notò che dalle sue zanne colava un filo di bava. Lei assunse un’espressione di imbarazzo, e in tutta risposta suo fratello cominciò a russare rumorosamente. Ci fu un momento di silenzio, interrotto sia dagli sghignazzi dell’elfo, sia da delle frasi sconnesse da parte del giovane erede Hierko: si agitava nel sonno, pronunciando di tanto frasi come “ammazzatelo...traditor...zzz” oppure “questo cinghiale... zzz... ropio buono... zzz”. Ora Mite stava ridendo fragorosamente; l’orchessa, arrossendo come solo un orco sa fare, diede una pacca sulla spalla a suo fratello, che si svegliò con un sussulto: “MITE” gridò il giovane “HO VISTO I CAMPIONI DI GUREG, HO CAPITO COME FUNZIONA LA MAGIA!“
Mite era piegato in due dal ridere, non riusciva quasi a respirare dalle troppe risate; Askvoll, al contrario, era terribilmente infastidita e imbarazzata dal comportamento del fratello, se avesse potuto nascondersi da qualche parte probabilmente l’avrebbe fatto, in quel momento.
“Va bene.. va bene così” disse Mite, cercando di darsi un contegno “alziamoci, che vi riaccompagno a casa, per oggi la lezione è finita” disse l’elfo, asciugandosi le lacrime.
Il dialogo riprese dopo qualche minuto, nel sentiero verso casa. “Askvoll - disse l’elfo, mettendole una mano tra i capelli e scompigliandole la treccia rossa, la stessa treccia che sua madre era solita portare quando si recava in battaglia- la risposta alle domande che mi hai fatto prima è “sì”. Questa è la magia degli Spiriti, della Natura, la più Sacra forma di comunione che esista tra il nostro mondo e il loro mondo (indicò una pozzanghera illuminata da una luce verdognola). Ora, il fatto che tu sia riuscita a vederla è una cosa importante per me, e sono sicuro che lo sarà anche per Kvartal...” Mite abbassò gli occhi al suolo “…e sono sicuro che lo sarebbe stato anche per tua madre. Anche se, visto come ti chiamava… -Asky-“ disse ridacchiando l’elfo “sono quasi sicuro che volesse che tu guadagnassi il titolo di Cane della tribù” finì la frase con un sorriso nascosto (male) tra le labbra. “Ma penso - continuò Mite, dando una sonora pacca sulla spalla a Morvik - che nessuno più di tuo fratello abbia il diritto di appropriarsi quel titolo. Dopo la dimostrazione di magia di prima posso solo dire che è... proprio tutto sua madre!”
Morvik, nel sentire queste parole, gonfiò orgogliosamente il giovane ma muscoloso petto (fingendo che la pacca sulla spalla non gli avesse fatto nulla). Arrivati infine alla porta della loro dimora, Morvik e Askvoll salutarono l’elfo, ed entrarono scortati dalla premurosa Nan. Mite ricambiò il saluto, si girò ed imboccò il sentiero del ritorno.
“Beh - pensò Mite - gli Spiriti indicano la via, ma questa non deve essere per forza la via degli spiriti. È buffo… ma è giusto così”. Si fermò, accarezzò l’orsetto e gli disse: “meglio che tu vada a riposarti... Io domani ho le mie bambine da tenere a bada: i due baldi giovanotti, domani, saranno solo un problema tuo, bestiaccia che non sei altro!”
L’orso strofinò il musetto sulle mani dell’elfo, che in tutta risposta le grattò la testa e accarezzò il suo manto; dopo qualche istante si girò, e iniziò la sua lenta camminata, che terminò dentro alla statua di granito sotto l’albero di casa Hierko.
“Non è mica sua madre - mormorò Mite, guardando l’orso scomparire dentro alla tomba della sua cara amica - non è mica sua madre”.
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Data d'iscrizione : 11.02.14
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