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Una giornata al Pinnacolo - Levitas

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Messaggio Da Sentrem Mar Ott 17 2017, 22:43

Già sveglio da qualche minuto, complice il canto del gallo al sorgere del sole, un elfo si dondola sui piedi fissando una coccinella che sale le rocce delle mura, mentre sgranocchia con i molari un pezzo di pane invecchiato.
La stanza è un'ampia cella, quattro letti disposti su due livelli, in gran parte ricolmi di pergamene e libri polverosi. Alcuni scarabocchi scuri partono dalla cornice annerita della torcia fin sopra le assi interne della porta, denti nero carbone danno alla cerniera il volto di una volpe, poco sotto un fiore di gesso corona lo spugnoso muschio di uno stipite.
Levitas dischiude un grosso libro, lentamente lo poggia in terra aperto, poi arrotola la lingua sulle labbra e, simulando le fauci di un serpente, cattura l'insetto sulla parete: “Zac! Pappa buona per le sacerdotesse".
Accarezza due sassi sul comò con la mano libera mentre esce di corsa dalla stanza, lasciando la porta spalancata.
Scende poi la lunga scala a chiocciola che lo porterà al piano terra, accompagnando ogni passo con un suono, parte da un acuto e marca ogni gradino di una nota via via più grave, gli ultimi due in un balzo, uno scatto verso l'uscita e di volata verso il pollaio.

Arrivato si spolvera la veste e le saluta tutte, le migliori raccomandazioni anche ai prìncipi crestati, poi apre il pugno sinistro e lascia tre secondi all'insetto colorato perché trovi salvezza, quest’ultimo vola via.
"Ecco... anche oggi solo granaglie da Gùreg per Bettina".

Dopo qualche minuto, prima ancora che l’ombra del Salice tocchi le rocce a nord, rientra dal grande portone in legno e bronzo del Pinnacolo, lasciando una manciata di sassolini sopra il mucchio di rocce fiorite sottostanti la finestra dei dormitori ovest.

Nel silenzio della sala un fragoroso cigolio fa voltare tutti gli studiosi verso la porta interna della biblioteca, è l'anta dai cardini arrugginiti, quella che nessuno spalanca mai, ma anche quella che l'elfo trova tanto attraente proprio per il miagolio che produce.
Un inchino alla luce polverosa che filtra dalle alte vetrate piombate ed ecco che si avvicina al bancone della segreteria.
"Qual buon vento Levitas?" lo accoglie Agò con voce indaffarata, intenta a spostare grossi volumi da uno scaffale all'altro.
"Oggi rituali di trasmutazione e creazione, grazie. Quelli con le figure grandi!" risponde lui tamburellando un dito sul mento.
"Sai bene che non ti è concesso lo studio dei riti, visti i precedenti..." lo riprende lei.
"Hehe, no no, ecco qui! Il benestare del sommo salman in persona!” abbassando la voce e porgendo una lettera stropicciata alla donna le bisbiglia “sto studiando cose difficili!”
Agò apre la busta, dà una veloce sbirciata alla firma in calce e annuisce sollevando il sopracciglio “Pare tutto in regola, corridoio Visara, scaffale 16”
“Mh… quello che profuma di licheni o quello dove si nasconde Vincent quando ha il turno in cucina?”
Lei aggrotta la fronte confusa.
“Faccio da me, non importa, grazie” dice lui con un sorriso voltandosi, poi si inoltra tra i banchi verso il muro di libri, mugolando un motivetto sommesso e saltellando solo sulle mattonelle bianche.

Quando Levitas fa ritorno al bancone d’ingresso, diverse ore dopo, la stregona del fuoco gli legge in faccia un dubbio "Qualcosa non và figlio degli Immota?"
"Pensavo..."
"HAH!" Esplode lei in una risata sarcastica.
La sala tutta si gira, per la prima volta nella sua carriera è la stregona a ricevere una occhiataccia dagli studiosi. Si tappa la bocca con una mano e imbarazzata continua “Dicevi?"
"Mi chiedevo quale mistero si celi dietro al blu di questa copertina"
"Quale frase non capisci caro? Gli scritti ermetici sono la mia specialità!" ribatte lei pronta.
"No, mi chiedo.. il blu.. com'è che si fa il blu?"
Agó fissa il vuoto dietro l'elfo, per un attimo cade nel limbo tra lo sconforto e la domanda stessa. Sarà un fiore? un crostaceo schiacciato? la polvere di qualche pietra? Quando si riprende quelle orecchie appuntite sono già svanite dalla sua vista, sul banco il volume color zaffiro; lo apre curiosa ed una fresca foglia d'acero spunta dalle pagine come un segnalibro, una frase è stata cerchiata di recente: cosa c'è di più importante della conoscenza?
"Una foglia..."

Quello stesso giorno, per la gran parte del tempo, nessuno vede più quelle vesti aggirarsi goffamente per i corridoi, ma al vespro, dall’alto delle torri, qualcuno lo scorge riemergere dal folto del bosco ormai ingiallito. Levitas cammina sconfortato e con il capo chino, trascinando una grossa corda di juta assieme alla sua lunga ombra. La molla in terra di fronte al portone del castello, svolta e sporca di fango, così, mentre sale le solite infinite scale, boffonchia il nome di diversi alberi e scuote la testa.

La vista della sua camera gli illumina nuovamente il volto, ogni brutto pensiero sembra svanire. Giunto all’uscio scavalca con attenzione la linea di sale rosa tracciata sul pavimento in corrispondenza dell’architrave della porta.
Entrato osserva con meraviglia un libro a terra, quel libro aperto che aveva abbandonato il mattino; si stende a terra, poggia una guancia sul freddo pavimento guardandolo di scorcio e solleva delicatamente il blocco sinistro di pagine.
SBAM! Lo chiude in un sordo tonfo con un gesto quasi sadico ed un nuvolo di polvere si solleva.
“Coff! Coff! Coff!” Tre colpi di tosse contati con le dita.
Grattandosi la testa si solleva da terra.
“Sì, oggi ci ho messo più del solito! Ho fame!”

Sentrem

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